Una croce sul giudice

La Costituzione giapponese prevede, all’articolo 79 comma secondo e terzo, che:

最高裁判所の裁判官の任命は、その任命後初めて行はれる衆議院議員総選挙の際国民の審査に付し、その後十年を経過した後初めて行はれる衆議院議員総選挙の際更に審査に付し、その後も同様とする。
前項の場合において、投票者の多数が裁判官の罷免を可とするときは、その裁判官は、罷免される。

La nomina dei giudici della Corte Suprema è sottoposta al giudizio dei cittadini alla prima elezione generale dei membri della Camera dei Rappresentanti successiva alla nomina, quindi in occasione della prima elezione generale dei membri della Camera dei Rappresentanti dopo dieci anni, e così di seguito.
In merito al comma precedente, se la maggioranza dei votanti vota per la rimozione di un giudice, tale giudice è rimosso.

Anche in queste elezioni alcuni giudici erano sotto scrutinio popolare. E non pochi: due terzi della Corte Suprema, cioè i dieci giudici nominati dopo le elezioni del 2009: Yamaura, Okabe, Sudo, Yokota, Ohashi, Chiba, Terada, Shiraki, Otani e Onuki.
Lo scrutinio avviene in pratica così: la scheda riporta il nome di tutti i  giudici per i quali è richiesta la conferma in carica. L’elettore che voglia “votare” per la sua rimozione, deve tracciare una croce sul nome del giudice. Si possono tracciare croci su quanti nomi si vuole, anche su tutti i nomi riportati sulla scheda.

L’interesse nei confronti di questa facoltà attribuita ai cittadini è scarso. I giornali non danno spazio alla cosa, se non in articoli marginali. Naturalmente non c’è campagna elettorale o altra attività lato sensu politica dei giudici.
Il risultato è che, tra i già pochi elettori che esercitano il proprio diritto di voto -queste elezioni hanno registrato l’affluenza più bassa del dopoguerra, il 57% degli aventi diritto- ancora meno sono quelli che si interessano alla questione della conferma dei giudici. Naturalmente, il votare o non votare per la rimozione di un giudice non vuol dire niente in sé, può benissimo essere che i giudici siano meritevoli di essere confermati, ma il fatto che, nelle 22 volte in cui i giudici sono stati chiamati ad essere giudicati dai cittadini, nemmeno uno sia mai stato rimosso vorrà dire qualcosina.

I risultati di quest’anno dimostrano tuttavia una lievissima differenza rispetto ai dati di 3 anni fa. Nel 2009 il giudice peggiore aveva registrato il 7,73% di voti “contro”. Quest’anno tutti i giudici hanno fatto peggio: la percentuale di voti per la rimozione varia dal 7,91% del giudice Onuki all’8,74% del giudice Okabe. Ecco i risultati:

Yamaura: 4.808.599    (8,33%)
Okabe: 5.044.756 (8,74%)
Sudo: 4.7775.013 (8,27%)
Yokota: 4.796.965 (8,31%)
Ohashi: 4.677.337 (8,10%)
Chiba: 4.798.981 (8,31%)
Terada: 4.688.804 (8,12%)
Shiraki: 4.762.216 (8,25%)
Otani: 4.733.492 (8,20%)
Onuki: 4.569.960 (7,91%)

La regola è interessante anche per valutare ancora una volta l’importanza fondamentale delle scelte di default. In altre parole: per rimuovere un giudice è necessario che la metà dei votanti esprima attivamente la propria volontà. Ma molti non conoscono i giudici o non sono interessati alla questione,  per cui evitano di prendere posizione e di tracciare una croce.
Secondo questa regola di default risulta che più del 90% dei votanti approva la nomina dei giudici.

Se questa è la lettura formale del dato, è tuttavia evidente che una lettura siffatta è fuorviante. Immaginiamo una regola per cui i giudici debbano ottenere il supporto attivo dei cittadini per essere confermati. Probabilmente, per lo stesso motivo di cui sopra, cioè che a molti la questione non interessa, il risultato sarebbe invece contrario. Credo che meno della metà dei votanti deciderebbe di prendere una posizione attiva e di sostenere il tale e tale giudice. In questo modo, ponendo la rimozione come regola di default, si ribalterebbe l’esito della consultazione anche in un quadro in cui la situazione di fatto, cioè un sostanziale disinteresse, fosse la medesima. La regola di fondo sarebbe quindi da interpretarsi più come una rimozione automatica.

Una regola che trova un punto di equilibrio tra le due scelte di cui sopra sarebbe una regola che non preveda scelte di default.
Si può immaginare una scheda con una casella SI e una casella NO di fianco ai nomi di ciascun giudice: le schede bianche non contano e si valuta se prevalgano i SI o i NO tra i voti effettivamente espressi. In questo caso l’elettore che non prende posizione è sostanzialmente ininfluente, entrambe le scelte richiedono uno sforzo attivo da parte dell’elettore, e nessuna delle parti può appropriarsi dei voti della “maggioranza silenziosa”.
Qui si dice che in passato vi fu una proposta di legge in questo senso, ma che non riuscì a passare.

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